Nel volume “L’oscenità del corpo” (Tau Editrice) Andrea Rega denuncia l’avanzata neoliberista verso una distopia dove tutto è dettato da impulsi e capricciosi desideri volti al rapido consumo, anche sessuale. Gli esempi nella pubblicità, nel cinema, nella musica, nello sport. La scuola che ha abdicato al proprio ruolo
Un quadro a tutto tondo, senza moralismi bigotti, non solo della deriva dei costumi verso cui ci dirigiamo rapidamente, ma anche della connessa crisi dei rapporti sociali, della democrazia, del lavoro, dell’individuo, della famiglia. Il tutto stimolato, guidato e controllato dall’alto per brama di profitto e di potere sotto le mentite spoglie di una falsa libertà ed emancipazione. Un vero e proprio progetto antropologico, sociale, economico, incontrollato e incontrollabile. Una orrenda distopia, che intende cancellare gli aspetti più nobili di secoli di storia umana.
Tout se tient
Un notevole sforzo, quello di cogliere i fili celati che collegano aspetti che potrebbero apparire slegati. Come gli spot pubblicitari fucsia, arcobaleno, green, multietnici e la precarizzazione del lavoro. Il prepotente e intollerante pensiero unico ecologista e lgbtqia+ e l’abdicazione del proprio ruolo da parte di scuola e educatori. La pornocrazia e le democrazie parlamentari nazionali ormai prive di veri poteri.
A realizzare con successo tale impegno è stato Andrea Rega, docente di Filosofia negli istituti superiori, con la sua recentissima pubblicazione, dalla bella veste grafica, L’oscenità del corpo. Bramosie dell’immaginario, consumismo ideologizzato, indottrinamento visivo (Tau Editrice, Todi 2022, pp. 228, €. 20,00). Beninteso, il titolo è provocatorio: in realtà, non è il corpo a essere osceno in sé e per sé, ma per come viene manipolato e mostrato nell’odierna cultura di massa occidentale.
Esso viene mercificato alla pari di tutti i prodotti che sono sottoposti ai desideri capricciosi e compulsivi del consumatore. «Una concezione dell’esistenza» scrive Rega «intrisa di utilitarismo edonista che, privo, di ogni sentimento di giustizia, collima con la ricerca dei miei piaceri e dei miei vantaggi».
I pensatori che denunciano la massificazione consumista e capitalista
L’oscenità del corpo è ricco di citazioni di pensatori-chiave quali Baudrillard, Debord, Foucault, Fusaro, Marcuse, Marx, Packard, Pasolini, Preve, e tantissimi altri: intellettuali che hanno denunciato, pur con sfumature diverse e da differenti posizioni, i meccanismi (sub)culturali di massa utilizzati dal sistema capitalistico per rendere la popolazione mondiale priva di anima. Totalità di consumatori, spinti da bisogni indotti ad acquistare merce non necessaria: «Esseri ambigui – afferma Rega – senza identità, patria, famiglia, cultura e religione». Come denunciato da Marx, più aumenta il valore delle cose, più si svaluta il mondo degli uomini. Tutto, pertanto, è reificato.
“Consigli per gli acquisti…”
Sono centinaia gli esempi che Rega raccoglie nell’ambito della pubblicità, del cinema, della musica, dello sport, che mostrano l’ideologia totalitaria che ci sta aggressivamente invadendo, soprattutto i giovani.
La sua attenzione si concentra in particolare sugli spot pubblicitari: questi sembrano interessati a vendere più l’ideologia conformista che i prodotti di cui dovrebbero sollecitare l’acquisto mostrandone pregi e utilità. Secondo il saggista, «la semplice e classica promozione dei prodotti, a partire dalla descrizione delle loro caratteristiche contraddistinguenti, è un ricordo lontano nel tempo. L’attuale spazio pubblicitario è un ambiente immersivo che, oltre a riprodursi dappertutto e costantemente, si propone di far vivere delle esperienze capaci di creare ambienti mentali destinati a realizzare contesti sociali disposti all’acquisto di nuovi articoli. La pubblicità, come forma culturale, incide sul processo di costruzione della realtà sociale e dà significato all’esistenza dei singoli plasmando modelli di comportamento ed identità sociali».
Un’ideologia che enfatizza poche quanto ripetitive categorie: donne, gay e trans, famiglie non eterosessuali, e, poi, l’ecologismo, la multietnicità, le nuove tecnologie, in particolare quelle telematiche, la trasgressione, il disimpegno, l’edonismo, l’egotismo. D’altra parte, donne e gay sono notoriamente più spendaccioni e consumatori più compulsivi e quindi più appetibili rispetto al padre di famiglia.
Le false sensibilità
Inoltre, aziende notoriamente insensibili verso problematiche sociali e dei lavoratori, ambientaliste o in ambito di diritti civili compiono una furba quanto ipocrita operazione di social washing, greenwashing, rainbow washing. Infatti, anche se alcuni prodotti possono avere minore impatto ambientale, ciò «non determina una svolta ecologista né lo stravolgimento dello status quo».
L’entusiasmo per il nuovo (anche se futile e inutile), propagandare l’idea che si stia vivendo una splendida epoca di cambiamento, la possibilità di poter vivere alla luce del sole ogni tipo di sessualità, «il tutto ammantato da ipocrita filantropia», nasconde, secondo l’autore, un terrificante prezzo da pagare in termini civici: «Perdita dell’appartenenza (precarizzazione, trasferibilità nazionale ed internazionale); terrore sanitario (medicalizzazione della vita); rimodulazione dei diritti fondamentali […]; ridimensionamento spaziale dell’esercizio della sovranità (dissolvimento dei confini e del concetto di territorio come elemento caratterizzante dello Stato); indebolimento delle corrette procedure legiferative (governabilità con eccedente ricorso alla decretazione d’urgenza); annullamento della privacy (identità social, lasciapassare digitali, vendita dei dati personali)».
Presunte libertà in cambio della macelleria sociale
Spariscono antichissimi princìpi e valori fondanti la società, quali «gratuita donazione, solidarietà interpersonale, stabilità sentimentale, cura relazionale, eticità nell’agire, senso del pudore, probità di costumi».
E le folle sciamannanti e festose per l’acquisizione di sempre più inediti/inauditi “diritti civili”, poco o nulla si oppongono, anzi, neanche hanno coscienza delle nuove tragedie causate dal capitalismo: «sradicamento, precariato lavorativo, precariato sentimentale, delocalizzazione, debito pubblico, obsolescenza programmata, sfruttamento dei dati personali ecc.». Si perpetua l’onda lunga dell’equivoco del Sessantotto: «La liberalizzazione dei costumi […] fatta passare per liberazione sociale» con «completo annichilimento del pudore e conseguente degradazione consumistica del corpo e della sessualità». Erotomania senza liberazione…
Per di più con un ripiegamento infantilistico/adeolescenziale entro se stessi (un esempio ne sono i sex toys, anch’essi ormai sdoganati pure sui social da personaggi dello spettacolo).
Politica soggiogata e dissidenti criminalizzati
A bloccare tale deriva culturale e morale e a fornire un indirizzo diverso dovrebbe essere la politica delle singole nazioni. Ma sappiamo come essa sia l’anello più debole di poteri economico-finanziari e sovranazionali che dettano la linea da seguire (Deep State, Onu, Nato, Ue, Fmi, Bce, Wto, Big Pharma, Big Tech, società che gestiscono i fondi comuni di investimento, agenzie di rating, ecc.).
Sicché la «rappresentanza politica è duramente penalizzata. Di fatto, progressivamente sostituita da una tecnostruttura neoliberale (banchieri, tecnocrati, alti funzionari, imprenditori ecc.) che punta al profitto finanziario, alla politica economica del debito pubblico e alla sostituzione del concetto di cittadino con quello di consumatore». E i dissidenti? Son pochi, ma esistono. Però vengono subito criminalizzati: «I non allineati con la visione dominante […] non riescono né ad emancipare né a liberare le masse». Del resto, «non tutti gli oppressi vogliono esser affrancati. Al contrario, molti preferiscono restare nella menzogna».
Una scuola che non educa al pensiero critico e alla libertà
Non è un caso che il libro si concluda con un capitolo, il quinto («Visualità e linguaggio delle cose») dedicato alla scuola, e non solo perché, come si è detto, l’autore è un insegnante.
L’istituzione scolastica, per suo statuto, dovrebbe essere l’argine, la diga, lo strumento più formidabile, anche per il suo pluralismo, contro la deriva di una cultura di massa, per di più unica: «Istruzione come controargomentazione delle posizioni ampiamente diffuse nella società. […] L’ente, per antonomasia affidatario della formazione dei giovani, non dovrebbe smettere di porsi in relazione dialettica col suo ambiente sociale. L’incapacità di mantenere costante la distanza critica, infatti, sta sottraendo credibilità alla scuola. Prima, agenzia tra i vari servizi territoriali; poi, emanazione della sovranazionale agenda del politicamente corretto».
In conclusione, anche la scuola non è più libero spazio di confronto pluralista, ma cinghia di trasmissione – un termine molto in uso un tempo – del pensiero unico neoliberalcapitalista globalista… Un quadro molto fosco, nella speranza che le contraddizioni del sistema e le ignobili sofferenze materiali, sociali e psicologiche provocate alle masse conducano alla presa di coscienza e a un risveglio… (leggi La nuova lotta di classe riparte da populismo e sovranismo).
Le immagini: la copertina del libro e da pexels.com (a uso gratuito).
Rino Tripodi
(LucidaMente 3000, anno XVIII, n. 208, aprile 2023)
Chi come me e noi giovani sessantottini, che hanno vissuto la storia di questo cambiamento sociale, siamo smarriti, persi in una società che tale non è più. Tutti i nostri valori per i quali ci siamo battuti, sono andati persi. Stiamo inseguendo chimere riflesse nel nulla, come miraggi nel deserto, che non si sa dove porteranno.